Il dolo, quale vizio del consenso, può essere definito come un inganno provocato per ottenere dall’altro il consenso al matrimonio che deve riguardare una qualità (di chi inganna) che per sua natura può perturbare gravemente il matrimonio.
Si ha dolo quando un soggetto volutamente finge (di avere) una determinata qualità inducendo dolosamente sia con un’azione che con un’omissione o con un silenzio (ad es. non aver rivelato una propria malattia), un’altra persona a celebrare il matrimonio provocando in lui una falsa rappresentazione della realtà, un errore sulla presenza od assenza di un determinato elemento, che è tale da influire in modo determinante sulla sua volontà.
È la presenza dell’inganno, della deceptio (e non del semplice errore) che si pone in radicale contrasto con quell’intima communitas vitae et amoris coniugalis che, secondo l’insegnamento del Concilio, costituisce la vera sostanza del matrimonio.
La particolare attitudine a pregiudicare il consortium vitae deve essere valutata alla luce della singola specifica vicenda umana.
Il Legislatore ha, insomma, voluto colpire l’inganno come gravissima perturbazione di quell’incontro delle volontà che deve stare a base di ogni matrimonio. Ed invero, chi è stato tratto in inganno, quando se ne accorge, non può più, si può dire per tutta la vita, considerare l’altro coniuge una persona con la quale poter instaurare un vero consortium vitae.
Il dolo per avere rilievo invalidante può provenire anche da un terzo soggetto e non è richiesta una intrinseca gravità del dolo. Pertanto la leggerezza, l’ingenuità la dabbenaggine del soggetto tratto in inganno non giustifica in alcun modo l’inganno compiuto dall’altra parte.
Inoltre, il contraente, deve essere tratto in inganno, ed indotto quindi in errore su di una qualità propria dell’altra parte. La qualità, che può essere fisica, morale o sociale tale cioè da inerire alla persona del contraente e concorrere a delinearne la personalità, deve essere presente nell’altro al momento della celebrazione delle nozze e non riguardare aspettative, speranze o previsioni; spesso nascenti, queste ultime, da un’errata conoscenza o valutazione di quella che è l’effettiva realtà personale dell’altro contraente.