Nullità per vizio

del consenso

  • Esclusione dell'unità-fedeltà

    L’esclusione dell’unità-fedeltà del matrimonio comporta la nullità del matrimonio quando una o entrambe le parti intendono non impegnarsi alla fedeltà verso l’altro coniuge riservandosi la libertà di avere relazioni extraconiugali (sia eterosessuali che omosessuali) e volendo un matrimonio, per così dire, ‘aperto’.
    L’esclusione dell’unità-fedeltà, parimenti, si presume da:
    • chi sposa con l’intenzione di non abbandonare l’amante;
    • chi la esclude con una condizione sine qua non;
    • chi immediatamente prima e dopo il matrimonio coltiva relazioni intime con altre persone.
    Non ha alcuna efficacia invalidante una semplice propensione verso l’infedeltà, essendo necessario, invece, accertarsi dell’effettivo proposito di dar vita ad un matrimonio extra et contra doctrinam Christi et Ecclesiae.
  • Esclusione del valore sacramentale

    L’esclusione del valore sacramentale del matrimonio comporta la nullità del matrimonio quando una o entrambe le parti, con una volontà positiva, intendono escludere l’elemento della sacramentalità del matrimonio.
    In tale ipotesi il nubente opererebbe la seguente distinzione: voglio il contratto-matrimonio ma ne escludo la sacramentale dignità.
    Pertanto, non essendo presente nel simulante alcuna traccia di fede, il matrimonio viene inteso come qualcosa di diverso da quello voluto dalla Chiesa.
  • Esclusione del bene dei coniugi

    L’esclusione del bene dei coniugi comporta la nullità del matrimonio quando il nubente, celebrando le nozze, ha inteso perseguire un fine in contrasto con l’essenza del matrimonio ed in particolare con la sua ordinatio ad bonum coniugum, intendendo non impostare il rapporto matrimoniale su una compartecipazione di affetti e sentimenti, rifiutando l’amore coniugale non inteso in senso erotico ma tendente al bene ed alla felicità dell’altro.
    Ciò perché il matrimonio è un atto tra due esseri umani posto in essere per il loro bene ed il bene dei coniugi costituisce un elemento essenziale per il consortium: escludere tale “bene dei coniugi” significa snaturare il fine del matrimonio.
  • Esclusione dell'indissolubilità

    L’esclusione dell’indissolubilità comporta la nullità del matrimonio quando una o entrambe le parti intendono non porre in essere il vincolo perpetuo che li lega per tutta la vita riservandosi il proposito di riprendersi la propria libertà, nel caso di infelice esito dell’unione coniugale, attraverso il divorzio o l’annullamento.
    Si presume abbia escluso l’indissolubilità anche chi si propone di tentare un matrimonio “a prova”, da sciogliere con il riacquisto della piena libertà.
    La previsione del divorzio, non è sufficiente ai fini di una pronuncia di annullamento.
    Occorrerà valutare:
    i convincimenti religiosi di chi avrebbe escluso l’impegno perpetuo nel matrimonio;
    i convincimenti matrimoniali dello stesso (essere un divorzista, militare per movimenti politici pro divorzio etc.);
    • come sia trascorso il fidanzamento, se, cioè, vi siano state interruzioni, o se sia stato litigioso;
    • se, a causa di quanto appena detto, vi fossero dubbi, preoccupazioni nell’imminenza delle nozze, di un infelice esito del matrimonio;
    • il motivo per cui il soggetto celebrò matrimonio religioso (se forzato dalle convenzioni sociali o se per libera scelta, se fu proposta la semplice convivenza o il matrimonio solo civile, etc.).
  • Esclusione della prole

    L’esclusione della prole comporta la nullità del matrimonio quando una o entrambe le parti intendono, in maniera assoluta e senza limiti di tempo, non mettere al mondo figli.
    Se la prole si esclude temporaneamente perché si vuole attendere ad avere figli, il matrimonio è da considerarsi validamente sorto.
    Qualora, però, tale esclusione temporanea sia arbitrariamente e continuativamente il sintomo di una effettiva negazione del diritto dell’altro ad averne, occorrerà verificare se quella esclusione temporanea non sia in realtà perpetua.
    L’esclusione della prole, inoltre, può essere condizionata ad es. quando si ammetta di avere un figlio solo al raggiungimento di una certa posizione economica oppure di un certo grado di armonia tra i coniugi: anche in tali circostanze tale limitazione temporale potrebbe determinare la nullità.
    Occorrerà, inoltre, valutare:
    • che tipo di cautele anticoncezionali venivano eventualmente prese;
    • per quale motivo si escludeva la prole: ad es. convinzione che sono un ostacolo alla propria libertà o alla propria realizzazione professionale o convinzione che siano un onere superiore alle proprie forze;
    • se uno o entrambi i coniugi intendevano il rapporto matrimoniale come esclusiva vita a due anche per evitare le noie e i fastidi causati dai figli;
    • il motivo che spinse, nonostante l’esclusione in esame, alle nozze religiose;
    • quale reazione abbia avuto l’asserito simulante in caso di gravidanza non voluta (se ne abbia proposto l’interruzione o se sia stato contento alla nascita dei figli);
    • se vi siano state, durante il matrimonio, interruzioni di gravidanza e per quale motivo;
    • se vi siano state richieste di figli da parte dell’altro coniuge e come l’asserito simulante abbia risposto;
    • se i motivi della fine del matrimonio possono essere ricondotti alle divergenze circa la presenza o meno dei figli nel matrimonio.
  • Errore sull'identità della persona

    L’errore sull’identità della persona determina la nullità del matrimonio (per mancanza di consenso) perché riguarda l’oggetto sostanziale del patto coniugale: il consenso, difatti, è rivolto ad una persona diversa da quella che si intendeva sposare.
    Ciò avviene soprattutto nei matrimoni per procura.
  • Errore su una qualità della persona

    L’errore su una qualità della persona determina la nullità del matrimonio (per mancanza di consenso) quando per il contraente la qualità (che ravvisa nell’altro e su cui erra) è talmente più importante della persona (che si sta per sposare), da costituire l’elemento essenziale del progetto matrimoniale che egli intende realizzare.
    In altre parole il soggetto vuole sposare la qualità, piuttosto che la persona: è indifferente quale persona rivesta la qualità che si intende, direttamente e principalmente, ‘sposare’. Qualora la qualità così intesa dalla parte dovesse mancare, cadrebbe l’unico elemento che determinò in lui la decisione matrimoniale rendendo (forse) impossibile la nascita di una vera comunione di vita coniugale.
    Occorrerà valutare:
    • se la qualità personale fosse una e ben definita o fossero, piuttosto, una serie di qualità;
    • quale importanza veniva data alla presenza (o assenza) di quella qualità;
    • il tipo di reazione avuto da chi scopre di aver errato.
  • Dolo

    Il dolo, quale vizio del consenso, può essere definito come un inganno provocato per ottenere dall’altro il consenso al matrimonio che deve riguardare una qualità (di chi inganna) che per sua natura può perturbare gravemente il matrimonio.
    Si ha dolo quando un soggetto volutamente finge (di avere) una determinata qualità inducendo dolosamente sia con un’azione che con un’omissione o con un silenzio (ad es. non aver rivelato una propria malattia), un’altra persona a celebrare il matrimonio provocando in lui una falsa rappresentazione della realtà, un errore sulla presenza od assenza di un determinato elemento, che è tale da influire in modo determinante sulla sua volontà.
    È la presenza dell’inganno, della deceptio (e non del semplice errore) che si pone in radicale contrasto con quell’intima communitas vitae et amoris coniugalis che, secondo l’insegnamento del Concilio, costituisce la vera sostanza del matrimonio.
    La particolare attitudine a pregiudicare il consortium vitae deve essere valutata alla luce della singola specifica vicenda umana.
    Il Legislatore ha, insomma, voluto colpire l’inganno come gravissima perturbazione di quell’incontro delle volontà che deve stare a base di ogni matrimonio. Ed invero, chi è stato tratto in inganno, quando se ne accorge, non può più, si può dire per tutta la vita, considerare l’altro coniuge una persona con la quale poter instaurare un vero consortium vitae.
    Il dolo per avere rilievo invalidante può provenire anche da un terzo soggetto e non è richiesta una intrinseca gravità del dolo. Pertanto la leggerezza, l’ingenuità la dabbenaggine del soggetto tratto in inganno non giustifica in alcun modo l’inganno compiuto dall’altra parte.
    Inoltre, il contraente, deve essere tratto in inganno, ed indotto quindi in errore su di una qualità propria dell’altra parte. La qualità, che può essere fisica, morale o sociale tale cioè da inerire alla persona del contraente e concorrere a delinearne la personalità, deve essere presente nell’altro al momento della celebrazione delle nozze e non riguardare aspettative, speranze o previsioni; spesso nascenti, queste ultime, da un’errata conoscenza o valutazione di quella che è l’effettiva realtà personale dell’altro contraente.
  • Violenza o timore

    La violenza o il timore determinano l’invalidità del matrimonio se concorrono i seguenti requisiti:
    deve essere grave, sia in senso oggettivo che soggettivo, vale a dire relativo all’indole, al sesso, all’età di chi subisce o di chi incute il timore o relativo al rapporto tra chi subisce e chi incute timore;
    • deve provenire dall’esterno, dal comportamento volontario di un’altra persona;
    • ma non deve necessariamente essere stato provocato al fine di indurre al matrimonio, potendo, cioè, anche essere non intenzionale;
    senza dare alcuna alternativa, costringendo la parte a scegliere il matrimonio quale mezzo necessario ed unico per liberarsi dal timore di subire violenze fisiche o psicologiche.
    Il timore può inoltre essere reverenziale quando, per il particolare tipo di rapporto che lega chi subisce e chi incute il timore (genitore-figlio, tutore-tutelato etc.), si sceglie il matrimonio quale unica via d’uscita possibile; rimedio motivato dalla paura di arrecare un dolore, un dispiacere o un rancore alla persona che insiste a che venga celebrato il matrimonio.

Nullità per

incapacità et alia

Insufficiente uso di ragione

La mancanza di sufficiente uso di ragione, con ciò evitando di soffermarci ad elencare tutti i vari tipi di alterazioni mentali (ad es. schizofrenia, paranoia, psicosi maniaco-depressiva), comprende le psicosi.

Il soggetto psicotico, con grave alterazione delle facoltà psichiche, non è cosciente del proprio stato e perde la razionalità necessaria ad autodeterminarsi in maniera libera ed assumersi validamente tutti quegli obblighi e diritti fondamentali caratterizzanti la vita coniugale.

Occorrerà, con l’aiuto di perizie, dimostrare l’esistenza dei sintomi della malattia prima del matrimonio.

difetto di discrezione di giudizio

Ricomprende tutte le forme gravi di nevrosi (caratteristica comune sono gli stati d’ansia), e di psicopatie (ad es. i depressivi, gli insicuri, i fanatici, gli ambiziosi, gli immaturi, gli instabili).

Tali individui, pur potendo essere consapevoli dell’atto (matrimonio) che compiono, e pur potendolo volere, non sono, però, sempre in grado di assumersi le responsabilità che ne derivano. È quindi necessaria, per dare un valido consenso, la maturità di giudizio capace di ponderare concretamente i doveri e i diritti (matrimoniali), da assumersi per tutta la vita. La capacità consensuale può essere compromessa anche nei casi di tossicodipendenza o alcoolismo.

incapacità di assumere gli oneri

Comprende quei casi in cui per cause di natura psichica si trova chi non può assumere ed adempiere le obbligazioni del matrimonio.

Vengono ricomprese in tale categoria: le affezioni di carattere sessuale (omosessualità e ninfomania su tutte), le perversioni sessuali (ad es.: feticismo, masochismo, transessualismo etc.), e tutti quei disturbi di carattere psichico e caratteriale che non permettono di stabilire la relazione interpersonale richiesta dalla comunione di vita coniugale.

Tale incapacità dovrà essere antecedente al matrimonio e perpetua (non può essere cioè corretta con gli ordinari mezzi terapeutici).

condizione de futuro

La condizione de futuro, a cui la persona lega la validità delle nozze, determina la nullità sin dall’inizio del matrimonio cui è apposta, a prescindere dal successivo verificarsi dell’evento cui si riferisce. In tal caso manca la volontà matrimoniale poiché l’efficacia del matrimonio viene subordinata al verificarsi o meno di un evento futuro ed incerto.

La condizione de praeterito vel de praesenti, invece, rende invalido il matrimonio cui è apposta se esiste il presupposto della condizione. Occorrerà verificare se la circostanza o l’evento che ha condizionato il consenso esisteva o no al tempo delle nozze.

Ai fini della prova, è necessario verificare quale importanza veniva data all’evento o al fatto legato alla condizione e la reazione avuta dopo le nozze quando si è appreso che la condizione non si è verificata.

matrimonio rato e non consumato

Il matrimonio rato e non consumato, tra battezzati e tra una parte battezzata e l’altra non battezzata, per un giusto motivo può essere sciolto dal Romano Pontefice, su richiesta di entrambe le parti o di una delle due, anche se l’altra parte fosse contraria.

Secondo il CJC si ha consumazione del matrimonio quando i coniugi hanno compiuto tra loro volontariamente e coscientemente l’atto per sé idoneo alla generazione della prole vale a dire il primo atto sessuale compiuto dopo la prestazione del consenso.

Non hanno, quindi, rilievo alcuno (ai fini della consumazione) eventuali rapporti prematrimoniali.

Potrebbe non essere concessa la dispensa nei casi di inconsumazione ma con parallelo concepimento indotto con la procreazione artificiale.

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