I ricorsi gerarchici e

gli elementi del ricorso

I ricorsi amministrativi gerarchici sono quei ricorsi con i quali si chiede al Superiore gerarchico dell’autorità che ha emesso l’atto amministrativo (decreto, precetto o rescritto) ritenuto lesivo, la modifica dell’atto impugnato.
È l’unico rimedio esperibile, quindi obbligatorio, se si vuole procedere alla verifica e al riesame dell’atto ammnistrativo. Dopo vi è solo il controllo giurisdizionale.

L’atto amministrativo è quell’atto giuridico unilaterale attorno al quale ruota tutto il sistema della Giustizia amministrativa.

Attraverso l’atto amministrativo, l’autorità esecutiva assume una decisione di governo.
Il rispetto del procedimento attraverso cui l’autorità arriva ad emettere un atto amministrativo è finalizzato ad evitare di emanare atti nulli o ingiusti e permettere al fedele interessato di esporre le proprie ragioni prima dell’emissione dell’atto.
L’atto amministrativo per produrre i suoi effetti deve avere forma scritta ed essere notificato al destinatario.

l'oggetto

Può essere oggetto di ricorso amministrativo gerarchico un precetto singolare, un decreto singolare oppure un rescritto emanato nel foro esterno.

Sono esclusi gli atti dati per il foro interno e quelli posti dalla suprema autorità a cui si può solo richiedere la remonstratio cioè di rivedere l’atto.

Gli atti amministrativi singolari emanati da un Dicastero della Curia Romana sono ricorribili alla Segnatura Apostolica tramite un processo contenzioso amministrativo, non gerarchico amministrativo.

i soggetti

Per poter esperire il ricorso, la persona fisica che si ritiene gravato (legittimazione attiva) da un atto amministrativo e ne chiede la revoca, deve avere la capacità giuridica e la capacità di agire.

Vi è legittimazione attiva anche in relazione agli interessi “collettivi”, cioè un atto singolare che riguardi i beni di una collettività (se un decreto sopprime una parrocchia sono legittimati a ricorrere i fedeli di quella parrocchia).

Il ricorrente ha diritto di farsi assistere e difendere da un avvocato. Legittimato passivo è l’autorità che ha emesso l’atto impugnato.

la motivazione

Si può ricorrere «per un motivo giusto qualsiasi» (can. 1737, §1) che può non fondarsi necessariamente sulla contestazione della legittimità dell’atto impugnato.

Non è sufficiente “qualsiasi motivo” ma motivazioni che almeno siano giuste apparentemente. Ben potrebbero non essere esaminati ricorsi basati su motivi futili.

Ed invero la ratio del ricorso amministrativo, a differenza del contenzioso giudiziale, è quella del ben governare e fare in modo che siano prese decisioni opportune, non solo di fare giustizia.

Il procedimento

del ricorso gerarchico

la fase preliminare

Al fine di evitare la controversia, prima di esperire il ricorso gerarchico, può essere tentata una conciliazione tra chi si ritiene onerato del decreto ed il suo autore, anche ricorrendo alla mediazione di terzi. Le altre due modalità extragiudiziali per evitare le controversie, arbitrato e transazione (cf. cann. 1713-1716), non sono invece praticabili in una controversia amministrativa.
Il tentativo di conciliazione, non essendo un requisito previo, può essere esperito in qualsiasi fase del procedimento.

 

È invece un requisito richiesto a pena di inammissibilità del ricorso gerarchico, quello della supplicatio: una richiesta scritta, con l’indicazione dei motivi di doglianza, fatta all’autore dell’atto affinché lo revochi o lo modifichi.
La supplicatio deve essere presentata nel termine perentorio di 10 giorni utili dalla notifica dell’atto di cui si chiede la modifica o la revoca; sospende l’esecuzione.
Alla supplicatio l’autorità che ha emesso l’atto può rispondere:
a) revocando l’atto impugnato;
b) modificando o respingendo l’atto; in tali casi l’onerato può interporre direttamente il ricorso gerarchico al Superiore.
Se, invece, l’autorità che ha emesso l’atto non risponde entro 30 giorni da quando ha ricevuto la supplicatio si presume che l’abbia respinta; anche in questo caso l’onerato può ricorrere direttamente al Superiore gerarchico.
Nei casi previsti dal can. 1734, §3 non è obbligatoria la supplicatio per interporre il ricorso gerarchico.

la proposizione del ricorso

Il ricorso amministrativo gerarchico, dopo l’infruttuoso iter della supplicatio, si propone per iscritto entro il termine perentorio di 15 giorni utili che decorrono:
a) dalla notifica dell’atto impugnato, nei casi previsti dal can. 1734, §3 in cui non è obbligatoria la supplicatio;
b) dalla notifica del decreto che risponde alla supplicatio;
c) dal trentesimo giorno di silenzio successivo alla ricezione della supplicatio.
Scaduti i termini si decade dal diritto di presentare il ricorso.
Il ricorso va proposto al Superiore gerarchico oppure all’autore dell’atto che ha l’obbligo di trasmetterlo al Superiore gerarchico competente.
Il ricorrente può fare esplicita richiesta di riparazione danni.

gli effetti

Il ricorso gerarchico produce sempre un effetto devolutivo (trasferimento della competenza al Superiore gerarchico competente a decidere) e solo nei seguenti casi un effetto sospensivo dell’esecuzione dell’atto impugnato che si produce dalla presentazione della supplicatio:
– il ricorso contro i decreti penali ex can. 1353 (che impongono o dichiarano una pena);
– il ricorso contro il decreto di espulsione di un membro di un istituto religioso ex can. 700.
Il ricorso amministrativo gerarchico, infatti, non ha automaticamente effetto sospensivo dell’atto che si ritiene lesivo e che si impugna.
I ricorsi contro i decreti di rimozione o trasferimento dei parroci hanno un effetto sospensivo soltanto parziale: il Vescovo, perdurante il ricorso, non può cioè nominare il nuovo parroco ma soltanto un amministratore parrocchiale che decadrebbe se il procedimento si concludesse con un provvedimento favorevole al parroco ricorrente (can. 1747 e 1752).

Il provvedimento

Il Superiore che decide un ricorso amministrativo gerarchico lo fa con decreto dopo aver istruito la causa. Non vi sono norme specifiche per tale procedimento ma il Superiore oltre a dover tenere conto dei canoni 35-47, è tenuto ad osservare il can. 50 («prima di fare un decreto singolare, l’autorità ricerchi le notizie e le prove necessarie, e, per quanto è possibile, ascolti coloro i cui diritti sono lesi»), il can. 51 («Il decreto si dia per iscritto esponendo, almeno sommariamente, le motivazioni…») e il can. 57 («…l’autorità competente provveda entro tre mesi dalla ricezione della petizione o del ricorso…»).


Il Superiore nel decidere il ricorso può:
confermare il decreto motivandolo e confutando le doglianze del ricorrente;
dichiarare invalido il decreto qualora l’autore dello stesso non aveva alcun potere o competenza (can. 35), per emanarlo o se l’atto era carente di elementi e/o requisiti essenziali ad validitatem (can. 124, §1). Ha effetti ex tunc.
rescindere il decreto in presenza di vizi che non comportano la nullità dell’atto;
revocare il decreto e lasciare, senza entrare nel merito circa la validità a meno dello stesso, senza effetto l’atto impugnato e non emettendo un nuovo decreto;
modificare l’atto correggendolo o emettendone uno nuovo in sostituzione di quello impugnato.

Gli atti amministrativi singolari emanati dai Superiori degli istituti di vita consacrata e di vita apostolica di diritto pontificio, esaurito il procedimento interno, sono ricorribili alla Santa Sede o in caso alla Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli o a quella per le Chiese orientali.

Per gli istituti di diritto diocesano il ricorso va presentato al Vescovo diocesano.
Gli atti emanati dalle autorità competenti di un’Associazione diocesana sono ricorribili al Vescovo diocesano; gli atti emanati dalle autorità di un’Associazione nazionale, alla Conferenza Episcopale; gli atti emanati dalle autorità di un’Associazione internazionale, al Dicastero per i laici, la famiglia e la vita, alla Congregazione per il Clero o al dicastero competente.

Il ricorso contro il decreto di rimozione di un parroco

Il parroco entro 10 giorni dalla notifica del decreto di rimozione ne deve chiedere per iscritto la revoca al Vescovo che lo ha emanato. La richiesta impedisce al Vescovo di nominare un nuovo parroco, potendo solo nominare un amministratore parrocchiale. In caso di conferma del decreto di rimozione, il parroco può presentare per iscritto entro 15 gg. dalla notifica del decreto di conferma (o dopo i tre mesi di silenzio), ricorso amministrativo gerarchico alla Congregazione per il Clero. Nel ricorso può chiedere la riparazione dei danni.

Il ricorso contro il decreto di espulsione di un religioso

Il religioso di un istituto di diritto diocesano entro 15 gg. dalla notifica del decreto di espulsione può esperire ricorso al Vescovo diocesano: non occorre la previa richiesta di revoca all’autore del decreto. In caso di conferma del decreto da parte del Vescovo, il religioso può presentare entro 15 gg. dalla notifica del decreto di conferma (o dopo i tre mesi di silenzio), un nuovo ricorso amministrativo gerarchico, che ha ipso iure effetto sospensivo, alla Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica. Può essere chiesta la riparazione dei danni.

TI È STATO NOTIFICATO UN DECRETO AMMINISTRATIVO?

Se ti ritieni gravato da un decreto ingiusto e ne vuoi la revoca o la modifica fatti difendere da noi