Ammissione e

formazione dei novizi

l'ammissione

I Superiori, con la più attenta cura, possono ammettere negli istituti di vita consacrata come novizi soltanto chi, oltre all’età richiesta (17 anni), abbia:
– buona salute
– indole adatta e
– maturità sufficiente, proporzionata al tipo di vita proprio dell’istituto.

Questi elementi possono anche essere valutati ricorrendo ad esperti, anche attraverso esami psicologici purché non sia leso il diritto del candidato al rispetto della propria fama ed intimità e mai contro la sua volontà. Importante sarà accertare il riscontro dell’equilibrio della affettività, soprattutto l’equilibrio sessuale del candidato.

Il Superiore che riscontri l’assenza dei requisiti non deve ammettere il candidato. Può assumere anche segretamente ogni tipo di informazione ritenuta necessaria al fine di valutarne “con la più attenta cura” l’ammissione e gode di un’ampia discrezionalità nella stima dei fattori da considerare. Il candidato non vanta un diritto soggettivo ad essere ammesso nell’istituto.

la formazione

La vita religiosa inizia con il noviziato, in una casa designata proprio per questo scopo, affinché il novizio possa prendere meglio coscienza della vocazione divina propria dell’istituto e sperimentarne lo stile di vita.

Il noviziato, che si compie sotto la direzione di un “maestro” che deve aver emesso i voti perpetui ed essere nominato per iscritto e delegato dal Superiore dell’istituto, non deve avere una durata inferiore a 12 mesi né superiore a 24.

Questo tempo è dedicato alla formazione e al discernimento del novizio per verificarne la vocazione e prepararlo al cammino di perfezione mediante il rinnegamento di sé per la preparazione alla professione dei consigli evangelici.

In questo tempo il novizio potrà decidere liberamente di lasciare l’istituto, non essendone ancora membro effettivo. Anche il Superiore ha la facoltà di allontanarlo.
Terminato il periodo del noviziato, in caso di idoneità si è ammessi alla professione temporanea, altrimenti si è congedati.

l'invalidità

Giuridicamente l’ammissione al noviziato è nulla quando il candidato:
– non ha compiuto ancora 17 anni;
– è coniugato (la S. Sede, in assenza di figli minori, può dispensare da questo impedimento o quando entrambi i coniugi vogliono entrare in un istituto o quando è intervenuta una sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio);
– sia gravato di debiti e sia insolvente;
– già appartenga ad un IVC o SVA;
– abbia nascosto di essere stato membro in passato di un IVC o SVA;
– sia entrato in istituto indotto da violenza, timore grave o inganno (o quando il Superiore che lo ha accettato sia stato parimenti privato della libertà di valutazione).

Per la liceità e/o l’invalidità dell’ammissione del candidato, gli istituti possono stabilire nelle loro normative particolari altri impedimenti.

Possono altresì richiedere – al fine di una attenta valutazione e accertamento sull’idoneità e l’immunità da impedimenti – ulteriore documentazione, oltre all’attestato di battesimo, confermazione e stato libero già previsti dal Codice.

L’allontanamento

del religioso dall’IVC

premessa

È il Codice a disciplinare i modi attraverso cui il religioso può lasciare spontaneamente l’istituto o esserne allontanato dal Superiore.
Il Legislatore oltre alla dimissione ha previsto altresì un provvedimento a carattere temporaneo (esclaustrazione) concesso su domanda dell’interessato o disposto dal Superiore competente.

l'allontanamento spontaneo

Se ha emesso i voti temporanei una volta verificata dal Superiore la gravità delle motivazioni alla base della scelta del religioso di voler uscire dall’istituto, dopo il parere positivo del consiglio, può scioglierlo dagli oneri presi e lasciarlo andare. In ogni caso, gli impegni assunti terminano alla scadenza dei voti.
Se ha emesso i voti perpetui la domanda del religioso deve fondarsi su una «causa molto grave» e la relativa dispensa c.d. “indulto” è riservata alla S. Sede se l’istituto è di diritto pontificio; se è di diritto diocesano, invece, la dispensa è rimessa al Vescovo della diocesi dove sta la casa a cui il religioso è stato assegnato.

l'allontanamento per disposizione dell'autorità

In presenza di atti o comportamenti non compatibili con lo stato di vita consacrata, il religioso, che ha emesso voti temporanei o perpetui, può essere «dimesso» dall’istituto pur contro la sua volontà quando ha:
– notoriamente abbandonato la fede cattolica;
– contratto (o tentato di contrarre) matrimonio, anche solo civile.


Il religioso può altresì essere dimesso dall’istituto, con provvedimento dei Superiori dopo lo svolgimento di un regolare processo che gli abbia garantito la possibilità di difendersi, nei casi in cui abbia commesso uno dei seguenti delitti:
– concubinato;
– violazione del sesto precetto del Decalogo;
– omicidio;
– sequestro di persona;
– aborto.


Vi sono altri motivi purché gravi, esterni, imputabili e giuridicamente comprovati per i quali un membro può essere espulso dopo una specifica procedura (can. 697) volta a tutelare il religioso e ad evitare ogni possibile arbitrio dei Superiori, di seguito alcuni motivi:
– abituale negligenza degli obblighi della vita consacrata;
– violazione continua dei voti;
– ostinata disubbidienza agli ordini dei Superiori in materia grave;
– comportamenti gravemente scandalosi;
– pertinace sostegno o diffusione di dottrine condannate dalla Chiesa.

Il decreto di espulsione

È possibile che il religioso sia immediatamente espulso dalla casa religiosa senza l’osservanza della procedura prescritta dal Codice, nei casi di particolare urgenza per un grave scandalo o un gravissimo danno che incombe sull’istituto; ciò comunque non comporta la dimissione dall’istituto.
In tutti i casi descritti, per gli istituti di diritto pontificio il decreto di espulsione entra in vigore solo dopo la conferma della Santa Sede per quelli di diritto diocesano la conferma spetta al Vescovo della diocesi in cui si trova la casa alla quale il religioso è ascritto.


Il decreto deve indicare ad validitatem il diritto di cui l’espulso gode per ricorrere alla competente autorità entro 10 giorni dal ricevimento della notifica. Il ricorso ha effetto sospensivo.

effetti dell'espulsione

Con la legittima espulsione cessano i voti ed anche gli obblighi e i doveri che derivano dalla professione. Inoltre l’ex religioso non può esigere nulla, alcun compenso, per l’attività svolta nell’istituto. Tale norma del Codice non sempre ha valore nelle legislazioni degli Stati essendo possibili fondate rivendicazioni per l’attività svolta. In Italia la questione è dibattuta, dottrina e giurisprudenza non equiparano però il rapporto tra il religioso e l’istituto come attività assimilabile al rapporto di lavoro subordinato.


L’ex religioso deve comunque essere trattato secondo l’equità e la carità evangelica e in caso di difficoltà o di necessità in cui verrebbe a trovarsi in caso di espulsione, l’istituto ha il dovere di sostenerlo sia moralmente che economicamente.

Legato al voto di povertà ruota anche tutto ciò che riguarda la disciplina della gestione dei beni che il professo possiede o che eredita. Ogni istituto ha la propria normativa cui le scarne disposizioni del Codice rimandano. Solo alcuni istituti permettono ai religiosi di trattenere il c.d. peculium, una certa quantità di denaro.
Secondo le norme comuni fin dalla prima professione temporanea il religioso cede ad una persona da lui scelta l’amministrazione dei propri beni indicando altresì a chi spetta l’uso e l’usufrutto, se non è stabilito diversamente dalla costituzione dell’istituto. Nello stesso momento il religioso deve redigere testamento che sia valido anche per il diritto civile. Tutte queste disposizioni (amministrazione, uso, usufrutto e testamento) possono essere modificate per giusta causa con l’autorizzazione del Superiore competente (come per qualsiasi atto relativo ai beni temporali). Il Codice non prevede che il religioso rinunci al suo diritto di proprietà sulle cose.
Tutto ciò che il religioso consegue con la propria attività, le pensioni, i sussidi, le assicurazioni percepite a qualunque titolo, viene acquisito dall’istituto. Nel caso il religioso riceva eredità o legati dovrà disporne con le stesse modalità previste per i beni al momento della professione.
Alcuni istituti esigono che i loro membri, prima della pronuncia dei voti, rinuncino completamente ai propri beni con efficacia dal momento della professione: in tali circostanze, con la perdita della capacità di acquistare e possedere, ogni atto che il religioso compie violando il voto di povertà sarà invalido e tutti i beni conseguiti a qualunque titolo spetteranno all’istituto.

La professione temporanea

La professione temporanea va fatta per tre anni ed è la premessa di quella perpetua, a pena di invalidità. Questo periodo di prova va da tre a sei anni e serve a completare la formazione del religioso che in questo modo verifica in maniera più approfondita la serietà delle proprie intenzioni. Trascorso tale ulteriore periodo di tempo il religioso che lo richiede liberamente ed è ritenuto idoneo è ammesso alla professione perpetua o alla rinnovazione di quella temporanea per un periodo massimo di ulteriori (ed ultimi) tre anni.


La professione temporanea è valida se:
– chi la vuole emettere abbia compiuto 18 anni;
– il noviziato sia portato a termine liberamente (senza violenza, timore grave o inganno);
– ci sia l’ammissione fatta liberamente dal Superiore competente con il voto del consiglio;
– viene espressa e sia emessa liberamente;
– sia ricevuta dal legittimo Superiore.

La professione perpetua

Giuridicamente la professione religiosa può considerarsi un contratto che prevede l’incontro di due volontà (quella di chi emette la professione e dell’istituto che l’accetta) il cui oggetto non è determinabile dalle parti poiché è stabilito dalla legge o dalle regole proprie di ciascun istituto.


Con la professione religiosa i professi:
– assumono con voto pubblico l’obbligo di osservare i tre consigli evangelici povertà, castità e obbedienza. Il “voto” è l’atto di culto con cui un fedele, liberamente, promette a Dio un bene che gli sia possibile compiere e che risulti migliore di altri comportamenti;
– sono consacrati a Dio mediante la Chiesa;
– vengono incorporati all’istituto con i diritti e i doveri che spettano ai membri dell’istituto. Il professo, quindi, muta la sua condizione canonica assumendo lo status di religioso che comporta anche gli obblighi previsti per i chierici.

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